Mentre il danno alla salute fisica provocato dal COVID-19 riguarda solo chi è colpito in modo diretto da questa malattia, il danno psicologico riguarda una platea nettamente più ampia di persone; mentre rallenta il numero dei contagi, sale il numero di richieste di intervento psicologico. Lo stesso quadro si era riscontrato a seguito di altre epidemie o pandemie, come ad esempio la SARS 2002-2003 che ha portato a un picco di incidenza di problematiche psicologiche come insonnia, ansia, attacchi di panico e depressione. Oggi si stima che, a seguito dell’emergenza Coronavirus, un terzo in più di persone soffrirà di problemi psicologici. Chi sono le persone che possono sviluppare disagi psicologici? In base all'esperienza vissuta durante la pandemia, possiamo immaginare di dividere la popolazione in 10 grandi insiemi di individui per valutarne i rischi psicologici connessi: 1- INFETTATI DAL CORONAVIRUS In relazione alle complicazioni fisiche causate dalla malattia e all'esperienza di cura ricevuta, si possono sviluppare un Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD) o una più specifica Sindrome Post Terapia Intensiva (PICS) che, oltre alla debolezza fisica, provoca ansia, disturbi del sonno, flashback di traumi e depressione. 2- FAMILIARI DI PERSONE AMMALATE O VENUTE A MANCARE La paura per la salute di un proprio caro e la paura di poter essere a propria volta contagiati può scatenare sintomatologie legate all'ansia o al trauma. C'è poi chi, durante la fase di confinamento forzato, ha subito un lutto e non ha potuto né dire addio al proprio caro né celebrarne il funerale: in questi casi possono svilupparsi, anche a distanza di molti mesi, sintomi legati al lutto complicato. 3- ADULTI CONFINATI IN CASA Chi non lavora nell'ambito dei servizi considerati essenziali, improvvisamente si è ritrovato confinato all'interno della propria abitazione, potendo uscire solo per svolgere quelle pochissime attività permesse. Le conseguenze negative che tanti sperimentano in questa fase di allentamento delle misure restrittive dipendono moltissimo dal modo in cui è stato vissuto il confinamento. Le variabili sono le più disparate: chi ha vissuto da solo, chi con il/la partner con cui preesistevano problemi di coppia, chi in una famiglia serena ma in uno spazio piccolo per una convivenza H24; chi con un giardino in cui rilassarsi, chi all'interno di quattro mura con pochissima luce; chi ha continuato a muoversi facendo attività fisica in casa, chi ha trascorso le giornate sui social; chi ha lavorato in smart working in tranquillità, chi ha dovuto condividere il proprio computer con i figli per la didattica a distanza. Questo elenco potrebbe continuare all'infinito. I punti in comune sono che la routine è stata stravolta e che questa condizione innaturale ha prodotto un indebolimento fisico e mentale: i bioritmi si sono modificati incidendo in particolare sulle abitudini alimentari e sulla qualità del sonno, facendo nascere una sensazione di vulnerabilità, portando ad una diminuzione di interesse per le attività impegnative, ad una difficoltà di organizzare il proprio tempo in maniera produttiva, ad un innalzamento dell'irritabilità, a pensieri negativi e ansie per il futuro. Si parla anche di sindrome della capanna per i casi in cui le persone, dopo il lungo periodo di confinamento nell'ambiente domestico, preferiscono continuare a stare in casa anche adesso che potrebbero uscire: non soltanto per il timore di essere contagiate ma anche per la difficoltà di tornare a vivere in questa nuova realtà in continuo divenire. C'è poi chi ha messo in atto una sorta di rimozione del momento traumatico, riprendendo ad uscire come se non ci fosse più alcun pericolo: in questo caso il disagio psicologico è dimostrato proprio attraverso la messa in atto di comportamenti a rischio (non solo per se stessi ma anche per la collettività), come l’uscire senza precauzioni o il prendere parte ad assembramenti.
5- LAVORATORI NEI SETTORI ESSENZIALI Le attività nei settori essenziali sono rimaste aperte anche durante la fase di innalzamento della curva dei contagi, quando le migliori misure di sicurezza per il contenimento del virus erano ancora in fase di definizione: i lavoratori e le lavoratrici che non hanno potuto lavorare in smart working hanno perciò convissuto a lungo con la paura di contagiarsi, di contagiare i propri cari e i colleghi. Ciò ha prodotto situazioni di stress e ansia molto forti che possono avere ripercussioni anche nel presente. 6- CHI HA PERSO IL LAVORO O RISCHIA DI PERDERLO Fin dai primi giorni, l'emergenza sanitaria da COVID-19 si è trasformata in emergenza economica. A coloro i quali erano già senza lavoro si sono aggiunti coloro che il lavoro lo hanno perso proprio a causa della pandemia e coloro che rischiano di perderlo con il perdurare della crisi economica: imprenditori che non sanno come ripartire, dipendenti di aziende in difficoltà, precari, lavoratori irregolari che non sanno più come provvedere alle spese quotidiane legate alla sopravvivenza (alimenti, cure, affitto, etc.). Anche in condizioni di normalità, la relazione tra perdita di lavoro, depressione e aumento del rischio di suicidio è purtroppo molto stretta e rischia di accentuarsi oggi a causa dell'impossibilità di prevedere la durata di questa emergenza. 7- ESPATRIATI Gli espatriati, già in situazioni di normalità, possono vivere il distacco dai propri cari e dalla Patria con nostalgia e malessere più o meno accentuati. C'è la difficoltà di relazionarsi pienamente con gli altri a causa delle differenze culturali e/o della lingua, c'è chi ancora non ha avuto il tempo di integrarsi totalmente nel nuovo Paese e chi non è mai riuscito a sentirsi davvero a casa propria. A seguito della chiusura delle frontiere per limitare il dilagare dell’epidemia, gli espatriati hanno sperimentato la paura di rimanere bloccati nel Paese ospitante a tempo indeterminato e, nel caso di difficoltà linguistiche, hanno avuto (e tuttora hanno) difficoltà ad accedere ai supporti sanitari locali o a reperire i dispositivi di protezione individuale. In loro si possono sviluppare sintomatologie ansiose così come forti sintomatologie depressive.
In particolare, la fascia di età più autonoma con le tecnologie ha trascorso online molto tempo, probabilmente troppo. Se già la dipendenza tecnologica era un problema prima della pandemia, oggi il quadro si è amplificato e sono aumentati i casi di cyberbullismo. Ai loro occhi, il mondo virtuale appare rassicurante e permette comunque di mantenere i rapporti sociali. Per alcuni, oggi è quindi difficile riprendere ad uscire, anche perché il fuori non è più piacevole come lo era un tempo: il rischio di contagio non si è azzerato, è necessario indossare dispositivi di protezione, seguire regole di distanziamento ed è vietato aggregarsi/stare in gruppo. 9- ANZIANI E MALATI E’ la fascia di popolazione passata tristemente alle cronache per il maggior rischio di mortalità legato al Coronavirus. Ad anziani e malati va riconosciuta una condizione di grande fragilità, soprattutto a quegli anziani che vivono da soli e a quelle persone che soffrono di patologie fisiche gravi. Loro, più di altri, hanno bisogno di mantenere costanti gli stili di vita e le abitudini che scandiscono le giornate con semplicità e che creano sicurezza. L'isolamento forzato, il terrore di essere contagiati e la nuova difficoltà di accedere alle consuete cure mediche negli ambulatori e negli ospedali impattano in modo estremo sulle loro vite: cresce drasticamente il senso di solitudine e la paura di non poter ricevere un aiuto familiare o medico nel momento del bisogno. Si creano così sintomatologie che riguardano in particolare il versante depressivo. 10- CHI GIA' SOFFRIVA DI MALATTIE PSICOLOGICHE Le patologie mentali sono molte e diverse. Il quadro varia quindi da disturbo a disturbo ma, in linea generale, le problematiche conseguenti o relazionate alla pandemia vanno da una riacutizzazione dei sintomi già presenti a un aggravamento delle condizioni nei casi in cui, a causa della quarantena, sia stato impossibile portare avanti le cure con il proprio psicoterapeuta o psichiatra. Ognuno di noi può appartenere a più di uno di questi 10 grandi insiemi di individui: in questi casi le problematiche possono sommarsi, creando una realtà pesante, difficile da gestire anche per le persone più resilienti. Sono sintomatologie reversibili? Sì, sono reversibili. Nei casi più lievi, queste problematiche psicologiche sono già scomparse nella prima settimana di allentamento delle misure restrittive o tenderanno a scomparire in un breve arco temporale. E’ invece necessario rivolgersi a uno specialista quando la sintomatologia si protrae nel tempo o quando, fin da subito, interferisce in modo forte con la ripresa delle attività quotidiane. Intervenire tempestivamente sulla problematica permette di evitare che questa si cronicizzi e diventi invalidante. Siamo ancora guidati dalle decisioni politiche sia in tema sanitario che economico ma, con l’allentamento delle misure restrittive, la responsabilità torna ad essere soprattutto individuale: per ricominciare a vivere, ognuno di noi dovrà prendere piccole o grandi decisioni su come gestire la propria quotidianità, trovando un equilibrio tra l’accettazione del rischio di contagio e la necessità di far ripartire l’economia lavorando e interagendo con gli altri. Solo ritrovando in tempi rapidi un sano equilibrio fisico e mentale sarà possibile valutare ogni scelta con lucidità e responsabilità. |
MIND PRACTICE®Professionisti nell'ambito della psicologia clinica e della psicologia del lavoro. Archivi
November 2020
Categorie
All
|